Durante il periodo di emergenza pandemica molti specialisti hanno dovuto ricorrere forzatamente ai sistemi di “telemedicina” ma con un grado di soddisfazione spesso limitato. Dal report del progetto TeleDerma sembra che i dermatologi non costituiscano un’eccezione.
Il Report TeleDerma è stato realizzato da Deloitte Consulting in collaborazione con AbbVie e Galderma, e con la supervisione scientifica del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e delle Società Scientifiche Adoi, Aida e SIDeMaST (oltre al coinvolgimento delle Associazioni pazienti ANDeA, APIAFCO e UNITI).
Una crescita esponenziale
Secondo il report, gli ultimi anni hanno visto crescere esponenzialmente le pratiche di teledermatologia in Italia. Complice il periodo pandemico, l’adozione di tecnologie digitali per fini medici si sta diffondendo sempre più nella pratica clinica. Oggi i principali utilizzi della telemedicina da parte dei dermatologi riguardano le valutazioni preliminari di pelle, capelli e unghie che i medici possono svolgere da remoto prima di eventuali visite in presenza. Non solo: anche per i follow-up di pazienti affetti da malattie croniche la teledermatologia rappresenta un importante strumento aggiuntivo per monitorare i pazienti.
Il numero di dermatologi che utilizzano la telemedicina è cresciuto in modo sostanziale fra marzo 2020 e settembre 2021. L’81% dei medici intervistati nell’ambito del Progetto TeleDerma dichiara di utilizzare uno o più servizi di teledermatologia. Le attività di messaggistica con i pazienti, sia in tempo reale sia in modalità asincrona, sono quelle più diffuse.
Le televisite ed i teleconsulti medici, oltre alla telerefertazione, sono le altre prestazioni che cominciano ad essere erogate su larga scala nel panorama italiano. Un dato significativo, considerato che prima del Covid-19 l’86% dei dermatologi non conduceva alcuna visita in telemedicina. La percentuale di dermatologi che ha iniziato ad erogare visite a distanza proprio durante l’ultimo anno si avvicina al 70%.
Le sfide per il futuro
Mentre la maggior parte dei pazienti dichiara di essere molto disponibile a utilizzare la telemedicina (68%), il 74% dei medici non si dichiara propenso ad adottare questa tipologia di servizi. La percentuale media è più bassa per i medici più giovani e cresce all’aumentare dell’età degli intervistati. Gli stessi specialisti, circa il 76% dei rispondenti, lamentano inoltre una mancanza e una generale insoddisfazione in merito agli strumenti a loro disposizione, spesso ritenuti inadeguati sia a livello tecnologico sia di gestione dei dati in termini di privacy.
Nonostante la diffidenza dei dermatologi (come di molti altri specialisti), la telemedicina ha un enorme potenziale applicativo e viene indicata nei recenti documenti programmatici di governo (come il Pnrr e la Conferenza Stato-Regioni) tra gli elementi di maggior potenziale per i sistemi sanitari del futuro.
Le difficoltà a percepirne i vantaggi da parte dei professionsiti della salute si devono soprattutto a una transizione avvenuta in modo troppo brusco e scarsamente pianificato come spiega in questa intervista, il prof. Francesco Gabbrielli, Direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità ed Advisor Scientifico del Progetto TeleDerma.
Perché gli specialisti faticano a percepirne i vantaggi?
La ragione principale consiste nel fatto che il passaggio ai sistemi di telemedicina sta avvenendo in modo tumultuoso dopo anni di stagnazione, guidato dalla situazione emergenziale e non da una ponderata pianificazione e senza un’adeguata preparazione degli attori coinvolti. È stato un processo improvviso, improntato principalmente a risolvere il problema di comunicare con pazienti e colleghi nonostante le misure di isolamento sociale. Un processo incentrato essenzialmente sull’utilizzo di piattaforme di messaggistica e videochiamate.
Una transizione solo parziale, dunque, che non mostra affatto il reale potenziale della telemedicina. Sebbene da un lato questo processo abbia portato un effetto positivo sdoganando l’impiego di queste tecnologie nella mente degli specialisti, dall’altro ha indotto a credere che la telemedicina consista soltanto in attività di comunicazione da remoto.
Invece la televisita, il teleconsulto, la teleconsulenza rappresentano le attività più semplici nel campo della telemedicina ma sono forse le meno importanti, quelle che, complessivamente, daranno nel tempo meno risultati a livello di sistema.
Quali sono i limiti di queste attività?
La televisita è limitata e non può sostituire l’incontro in presenza, per due ordini di motivi. Il primo, fondamentale, riguarda il fatto che in telemedicina non è possibile eseguire interamente l’esame obiettivo. Alcune attività sono possibili, a patto di avere la giusta strumentazione, come l’auscultazione, l’ispezione, alcuni esami visivi, ma altre sono evidentemente impraticabili, come la palpazione.
Inoltre, l’incontro di persona risulta più efficace per creare un legame empatico, una relazione emotiva col paziente. La videochiamata resta efficace per un consulto tra medici o per una consulenza, una second opinion o anche nel caso in cui un paziente necessiti di un consiglio da parte del medico. Così come si è potuto osservare essere utilissima per il supporto psicologico a distanza e per molte attività di teleriabilitazione.
Quali sarebbero invece gli strumenti potenzialmente più interessanti per i dermatologi?
Il dermatologo può sfruttare la telemedicina in modi molto più efficaci della televisita. Il principio è che la telemedicina consente di osservare il paziente e raccogliere informazioni clinicamente utili in modo continuativo grazie all’utilizzo di dispositivi digitali e sensori.
Ovunque il paziente si trovi, questi dispositivi digitali possono misurare i dati clinici desiderati e inviarli a una centrale di raccolta che li elabora rendendoli fruibili per il medico. In questo modo abbiamo la possibilità di raccogliere informazioni costantemente e osservare fenomeni che sfuggono all’osservazione durante il limitato tempo di una visita.
Questo è il vero punto chiave, il vantaggio più importante offerto dalla telemedicina: ci consente di osservare l’essere umano con una modalità completamente nuova mai sperimentata prima nella storia della medicina. Di fatto, stiamo aprendo una nuova via alla medicina.
Queste sono potenzialità che non tutti gli specialisti conoscono?
Esatto; vede, per impostazione professionale, il medico è aperto a ogni innovazione che possa offrire un contributo al bene del paziente; è open-minded per definizione, ma se il cambiamento non gli viene illustrato correttamente non ne percepisce le potenzialità. Dallo studio TeleDerma emerge che i dermatologi, come altri specialisti, mostrano una certa ritrosia verso l’adozione della telemedicina ma io credo che tendano a identificarla semplicemente con le televisite.
Su questo punto esiste un grave limite della nostra accademia perché a tutt’oggi nelle facoltà di medicina non sono previsti adeguati corsi di formazione strutturati sulla sanità digitale. Si segue la logica per cui le nuove generazioni hanno già familiarità con i sistemi digitali e non richiedono formazione specifica.
Ma in questo modo lasciamo che restino dei clienti, seppur evoluti, mentre noi abbiamo bisogno di professionisti in grado di comprendere il digitale e governarne la transizione. Sono i futuri dirigenti che in un’organizzazione sanitaria dovranno essere in grado di stabilire un piano di adozione delle nuove tecnologie insieme ai tecnici.
Come possiamo colmare il gap (in)formativo per gli specialisti che invece sono già attivi nel mondo del lavoro?
Dobbiamo continuare sulla strada che stiamo seguendo, e in questo senso lo studio TeleDerma ne è un esempio. Noi sappiamo che esiste una propensione all’adozione delle tecnologie innovative che differisce in funzione delle diverse specialità. Diventa dunque fondamentale analizzare ogni specialità in modo specifico per capire qual è l’atteggiamento medio che ne contraddistingue i membri.
Al Centro Nazionale per la Telemedicina, già prima della pandemia, abbiamo iniziato a produrre indicazioni nazionali (cosiddetti documenti di consensus) sull’uso corretto della telemedicina nelle varie specialità. Non si tratta di elaborazioni calate dall’alto: questi lavori vengono prodotti in collaborazione con gli stessi specialisti unendo l’elemento teorico-scientifico con l’esperienza quotidiana dei professionisti e poi anche delle associazioni dei pazienti. Si definiscono procedure condivise e più efficaci.
Questo processo, peraltro, contribuisce a diffondere la conoscenza su questi temi e a creare fiducia verso queste soluzioni Si tratta di un elemento fondamentale anche per coinvolgere i pazienti, perché la loro fiducia si ottiene anche attraverso quella dei professionisti.
In generale nei software – e i sistemi di telemedicina non fanno eccezione – quando un sistema è ben progettato e funziona, i pazienti sono sempre disponibili e lo utilizzano volentieri. Non esiste un problema di accettazione da parte dei pazienti se una soluzione è ben progettata e tiene conto delle esigenze di chi la deve usare. Se nessuno usa un sistema digitale significa che da qualche parte c’è stato un errore di progettazione.