L’Italia non ha certo dimostrato nel tempo di essere un Paese all’avanguardia in termini di innovazione. Tuttavia la brace non è mai stata spenta e piano piano il fuoco ha preso vigore. Lasciando indietro i pessimismi e volendo guardare il bicchiere mezzo pieno anche quando forse lo era solo per un terzo, i tempi sono maturati e la macchina si è attivata. Passata l’infanzia, quindi, forse è iniziata l’adolescenza per il mondo delle startup italiane. Andrea Rangone, responsabile scientifico degli Osservatori Startup Intelligence e Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano, apre così la sessione di presentazione dei risultati della ricerca con cui gli Osservatori hanno voluto analizzare la situazione degli investimenti nelle startup hi-tech italiane.
Startup al centro
Per il nono anno consecutivo l’Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano ha analizzato lo scenario delle imprese innovative italiane dei settori life science, biotech, digitale, energetico e cleantech. Come spiega Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio, ben 1200 startup hi-tech hanno partecipato alle sue attività, che comprendono quantificazione degli investimenti, analisi di performance e dinamiche e selezione di realtà significative. Gli obiettivi di un tale lavoro sono ad ampio spettro e spaziano dall’analisi della situazione alla diffusione della cultura dell’innovazione.
Investire nel cambiamento
Ghezzi comincia presentando numeri entusiasmanti. Il 2021 ha visto un deciso cambio di rotta in materia di investimenti nel mondo delle startup hi-tech. Contro i circa 670 milioni di euro investiti nel 2020, infatti, l’anno appena concluso ha registrato un sostanziale raddoppio del capitale, arrivando a quasi 1 miliardo e mezzo di euro.
Gli incrementi sono stati considerevoli sia da parte di attori formali, ad esempio venture capital privati o di tipo governativo, sia informali, come business angels, angel networks e venture incubator. Nello specifico, particolarmente importanti sono stati i contributi governativi, per la prima categoria, e delle piattaforme di crowdfounding, per la seconda. Ma il vero balzo in avanti lo hanno fatto gli investimenti internazionali, più che triplicati rispetto al 2020. In questo modo nel 2021 la quantità di capitale investito da attori provenienti dall’estero ha sostanzialmente raggiunto quelle di derivazione formale e informale. Buono è anche il dato relativo al taglio medio degli investimenti per ciascuna categoria. La maggior parte supera infatti il milione di euro.
La voglia di ripresa dopo il periodo buio determinato dalla pandemia tuttora in corso si è quindi fatta sentire. Con la mole di investimenti del 2021 l’Italia si pone finalmente a un livello paragonabile ad altri Paesi europei con economie comparabili. Se nel 2020, infatti, gli investimenti formali nel nostro Paese superavano di poco la metà di quelli spagnoli ed erano solo un sesto e un ottavo se paragonati a quelli rispettivamente di Germania e Francia, il 2021 ha impresso un’accelerazione al trend italiano. Esiste tuttavia un gap negativo che perdura nel tempo. La sua provenienza sono principalmente gli investimenti corporate, che nel 2021 sono stati solo di 81,1 milioni di euro. Anche se la strada è tracciata, quindi, molto deve ancora essere fatto in termini di mole di investimenti.
Gli investimenti nelle startup hi-tech provenienti dall’estero
Ghezzi conclude il suo intervento con i dati relativi al denaro proveniente dall’estero. Dal 19% del 2020 al 30% del 2021: la componente internazionale degli investimenti in startup hi-tech ha dato segni concreti di crescita.
Ad accompagnare questi segnali si è registrato anche un cambiamento geografico della loro provenienza. Se nel 2020, infatti, più della metà del denaro proveniva dall’Europa, seguita da Stati Uniti, Cina e Hong-Kong, nel 2021 il ruolo europeo si è molto ridimensionato. Solo il 25% degli investimenti sono giunti infatti dal nostro continente, in primis dall’Olanda, mentre il ruolo di protagonista è tornato dopo anni agli Stati Uniti, con il 74%. Segno che il nostro ecosistema è tornato ad allettare quello statunitense, più avanzato e maturo. A seguire compaiono Canada e Arabia Saudita, mentre sono scomparsi i Paesi di area cinese, forse a causa degli effetti della pandemia.
L’Italia corre, ma lo fanno anche le altre realtà europee e internazionali. Lo slancio per poter recuperare il terreno perso deve quindi continuare con rinnovato entusiasmo e gli investimenti devono aumentare. Come se l’ecosistema delle startup stesse vivendo la sua adolescenza, a cui si auspica seguirà uno sviluppo verso età più mature.
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