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Cellule staminali “intra moenia”

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Cellule staminali “intra moenia”

È stata riconosciuta come una delle start-up medtech più innovative dal percorso Up2Stars di Intesa San Paolo, è stata ammessa al programma Elite di borsa italiana e parteciperà al BIAT, la borsa dell’innovazione e dell’alta tecnologia di Napoli. Si tratta di Genlife, società benefit che ha realizzato un dispositivo da banco per estrarre cellule staminali, citochine e fattori di crescita dal tessuto adiposo senza dover abbandonare la struttura in cui l’estratto verrà utilizzato. IstemRewind – questo è il nome della macchina – riesce a effettuare la purificazione in soli 90 secondi, senza intervento da parte dell’operatore. Le cellule staminali derivate dal tessuto adiposo (ADSC) sono state oggetto di numerosi studi per il loro potenziale terapeutico in medicina rigenerativa ma il loro uso nelle cliniche è al momento limitato dalla durata del processo e dalla necessità di attrezzature specializzate e di personale adeguatamente formato. Nella sua versione standard, infatti, l’isolamento delle cellule dai lipoaspirati è un’operazione tutt’altro che semplice. Uno dei metodi più diffusi prevede ad esempio le seguenti operazioni: lavaggio ripetuto del tessuto adiposo con pari volume di tampone fosfato salino, spezzettamento prima della digestione enzimatica a 37 °C per 30 minuti, centrifugazione della sospensione per 10 minuti, eliminazione del sopranatante, nuova sospensione in cloruro d’ammonio, incubazione a temperatura ambiente per 10 minuti per rimuovere gli eritrociti, nuova centrifugazione, filtrazione attraverso una rete da 100μm per rimuovere i frammenti di tessuto non digeriti, incubazione per una notte in terreno di controllo e, finalmente, isolamento delle cellule mesenchimatiche. 

Non stupisce, dunque, che i ricercatori indaghino la possibilità di individuare metodi meno complessi per l’estrazione di queste promettenti cellule.  

Il percorso che ha portato allo sviluppo del nuovo dispositivo ha preso il via nel 2007 presso l’Istituto di Ricerca e biobanca di cellule staminali InScientiaFides.

“Inizialmente ci eravamo concentrati sullo stoccaggio e la caratterizzazione di popolazioni cellulari staminali pluripotenti indotte – spiega Andrea Raggi, fondatore e Ceo della società – per poi spostarci progressivamente sulle cellule staminali mesenchimali di derivazione adiposa. Per anni abbiamo ottimizzato i protocolli di laboratorio di estrazione e amplificazione, sviluppando processi molto efficaci ma ancora confinati al laboratorio. Tuttavia, per le applicazioni cliniche era necessario ridurre i tempi di processo: volevamo che tutte le operazioni – dal prelievo del tessuto adiposo dal paziente, all’estrazione delle cellule mesenchimali, fino alla somministrazione nello stesso paziente a scopi rigenerativi – potesse svolgersi all’interno di un’unica unità sede operativa. Per questo abbiamo indirizzato le ricerche verso la realizzazione di un dispositivo medico in grado di eseguire l’intero protocollo di isolamento ed estrazione delle cellule staminali adipose – e dei fattori correlati – automaticamente e in tempi molto rapidi, rendendo possibile il loro immediato utilizzo in chirurgia rigenerativa”.

 Come siete riusciti a ridurre i tempi di estrazione?

Impiegando un sistema di separazione basato su meccanismi fluidodinamici. Con questo processo meccanico, che non richiede l’utilizzo di enzimi per separare le cellule, si eliminano completamente i tempi di attesa richiesti ai composti enzimatici per svolgere la loro azione e la necessità del lavaggio post-processo, operazione indispensabile per evitare problemi di tossicità. Con questa soluzione il dispositivo è in grado di estrarre le componenti di interesse in soli 90 secondi da un micro-campione di tessuto adiposo (la cui quantità può variare tra i 15 e i 25 millilitri): un bel vantaggio rispetto alle molte ore necessarie in una procedura standard. Senza contare che, in molti casi, per svolgere questa procedura è necessario affidarsi a laboratori esterni specializzati.

Questo semplifica anche il compito dell’operatore

Decisamente: uno dei plus specifici di questa macchina è proprio il processo standardizzato non dipendente dall’operatore. Nella procedura standard un aspetto critico è la necessità di avere operatori adeguatamente formati per svolgere le operazioni di estrazione. La macchina è invece stata progettata per agire in automatico ed essere indipendente da chi la aziona; teoricamente anche l’attivazione potrebbe avvenire in modo completamente autonomo. In sostanza, è sufficiente inserire il tessuto nel dispositivo per ottenere l’estratto cellulare. L’apparecchiatura è anche dotata di un’elettronica di bordo che gestisce il processo e impedisce il riutilizzo accidentale dei consumabili, il tutto ovviamente garantendo la sterilità e la sicurezza necessarie.

Cosa contiene l’estratto cellulare fornito dall’apparecchio?

 Prevalentemente cellule staminali, fattori di crescita e fattori antinfiammatori. Anche gli adipociti della parte di risulta, che fino a ora venivano scartati, possono trovare applicazione, ad esempio nel campo della medicina estetica come filler.

Perché vi siete concentrati sulle cellule mesenchimatiche adipose?

La principale criticità con gli altri tipi di cellule, le iPSC (induced Pluripotent Stem Cells) è che queste sono già differenziate e devono essere riprogrammate per tornare a uno stato pluripotente simile alle cellule staminali embrionali. Questo comporta non solo passaggi supplementari con vettori virali, ma anche diverse problematiche sul lato della sicurezza, compresa una potenziale cancerogenicità. Nel nostro lavoro ci siamo orientati verso un approccio autologo, utilizzando cellule staminali mesenchimali adipose estratte dallo stesso paziente che deve essere trattato. In questo modo le cellule sono riconosciute dal sistema immunitario come “self” senza i potenziali problemi legati al rigetto o alla trasmissione di agenti patogeni.

Quali applicazioni potrà avere questa soluzione?

Il progetto è iniziato con in mente l’applicazione in chirurgia ortopedica umana, ad esempio nel trattamento conservativo di patologie degenerative e post-traumatiche del ginocchio. Il primo ingresso sul mercato, però, avverrà nel settore veterinario, applicazione per il quale il dispositivo ha già ottenuto l’autorizzazione al commercio. In questo campo può essere impiegato per intervenire su molte problematiche di tipo ortopedico sui piccoli animali domestici, sugli animali da produzione alimentare o su esemplari con grande valore economico, come alcuni cavalli da corsa.

A quando l’ingresso anche nel settore umano?

Per questo siamo in attesa dell’autorizzazione UE al commercio. La macchina è già marcata CE per uso da laboratorio e veterinario, mentre è in corso di autorizzazione per quello umano. Qui ci sono grandi aspettative perché il mercato della medicina rigenerativa sta crescendo a doppia cifra. Globalmente nel 2022 ha registrato un +13%, con un aumento del rendimento annuo medio che ha raggiunto quasi il 15%. Non solo il mercato è in crescita ma assistiamo a una crescita della crescita. Gli ambiti di applicazione si stanno ampliando e dove la metodologia è già presente sta compiendo significativi passi avanti. È chiaro che al momento il mercato più consolidato è quello dell’ortopedia ma ci sono moltissime prospettive di notevole interesse anche in altri campi. Un caso particolarmente interessante è l’utilizzo delle cellule staminali in caso di episodi cardiologici acuti come l’ischemia cardiaca. In queste situazioni la rapidità di intervento è cruciale e la possibilità di ridurre significativamente i tempi di estrazione potrebbe essere di grande aiuto.

Quale sarà il primo passo?

Sicuramente gli ambiti più interessanti in prospettiva sono quelli ortopedico e odontoiatrico, per la rigenerazione dei tessuti periarticolari, ma abbiamo in programma di entrare anche nel mercato della dermoestetica. Abbiamo già avviato una partnership con una grossa azienda farmaceutica e siamo ora in attesa del via libera dell’UE per l’applicazione del dispositivo a questo campo. In questo settore l’utilizzo varia dall’applicazione come filler, in funzione estetica, a situazioni più complesse come il ripristino dei danni dovuti agli interventi chirurgici. Nel caso del tumore al seno, ad esempio, può avere sia funzione ricostruttiva (per la rigenerazione dei tessuti) sia estetica.