Payback sui dispositivi medici: una via non percorribile per le nostre imprese

Il meccanismo del payback sui dispositivi medici è sempre stato molto confuso, ma cerchiamo di capire quali sono le vie da intraprendere

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È ormai da anni che si sente parlare di payback sui dispositivi medici, senza però che niente di concreto venga messo in atto. Col nuovo governo sembra che ci si stia indirizzando sempre più verso una cancellazione della norma, ma cerchiamo di fare chiarezza.

La storia del payback

Nel 2011 viene introdotto un tetto alla spesa pubblica in dispositivi medici, che nei tre anni successivi subisce sempre più un ribasso, prescindendo dai livelli di assistenza da assicurare.

Con la manovra finanziaria del 2015 viene poi stabilito che in caso di sforamento del tetto da parte di una regione, una quota della spesa in eccesso dovrà essere rimborsata dalle imprese fornitrici, secondo l’incidenza percentuale del proprio fatturato sulla spesa regionale.

Questa legge fa preoccupare le aziende fornitrici, impossibilitate a far fronte alle spese per via dell’insostenibilità economica, ma ad ogni modo la misura non verrà applicata ancora per diversi anni.

La proposta viene ripresa successivamente nel 2022, quando viene pubblicato il Decreto aiuti bis, che impone un ultimatum: il Ministero della salute entro il 30 settembre deve adottare un decreto che certifichi il superamento del tetto di spesa per i dispositivi medici nel periodo dal 2015 al 2018 e le aziende devono effettuare i versamenti entro 30 giorni dall’emanazione dei provvedimenti regionali.

La risposta delle aziende

A questo punto vengono avviati centinaia di ricorsi al TAR per contestare l’illegittimità dei provvedimenti.

In primo luogo, FIFO sanità pone l’attenzione sul fatto che le imprese fornitrici partecipano a gare pubbliche, nelle quali è la stazione appaltante a stabilire se le offerte ricevute sono congrue e a scegliere tra di esse quella che meglio la soddisfa. Inoltre, una volta aggiudicatasi una gara, un’impresa è per legge tenuta a non interrompere il proprio servizio.

In questo contesto, FIFO vede il payback come un modo per non pagare, facendosela rimborsare, una parte dei costi precedentemente pattuiti in una gara pubblica in cui è la stessa pubblica amministrazione a fissare i parametri.

All’interno delle contestazioni per illegittimità, si mette in luce anche la retroattività della manovra e il fatto che, in sede di gara, le aziende non hanno modo di sapere se i tetti regionali vengono superati o meno.

Le conseguenze della manovra

Introdurre il payback risulta quindi essere solo un rischio per il settore sanitario: meno aziende parteciperebbero alle gare di appalto, trovandosi costrette ad alzare i prezzi dei loro prodotti per rimanere a galla e lasciando le strutture sanitarie senza forniture di dispositivi medici essenziali.

Si viene a creare un circolo vizioso in cui le regioni sono obbligate a spendere di più per far fronte alla mancanza di strumentazione, con un conseguente tracollo del sistema sanitario e un incremento nel divario tra sanità pubblica e privata.

Un altro grande problema da non sottovalutare è la chiusura per fallimento delle imprese e le migliaia di posti di lavoro in pericolo.

A supporto di ciò, sono disponibili i dati dello studio condotto da Nomisma, commissionato da Pmi sanità e FIFO sanità confcommercio, dal titolo “L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici”.

Lo studio ha coinvolto 4000 società attive in Italia e i risultati sono drammatici: 1400 imprese si trovano in una situazione di squilibrio e 190000 posti di lavoro sono a rischio.

Con questo meccanismo, viene chiesto alle aziende di pagare una quota che si aggiungerebbe alle imposte già erogate durante gli anni interessati dalla richiesta di ripiano. Questo significa che le piccole e medie imprese si ritroverebbero a versare una percentuale pari a circa il 60% degli utili prodotti nell’ultimo esercizio.

Come se non fosse sufficiente, questo comporterebbe l’esclusione delle aziende dalle gare di appalto della pubblica amministrazione, in quanto si richiede che esse soddisfino un criterio di solidità che non combacia con la perdita di esercizio.

Oltre ai rischi occupazionali, lo studio Nomisma segnala anche che la rete di fornitura si assottiglierebbe riducendo le scelte a disposizione delle stazioni appaltanti, con possibili ripercussioni negative anche sui prezzi di acquisto.

A che punto siamo

A marzo 2023, il governo comunica che è stato istituito un fondo di 1 miliardo di euro per limitare l’onere a carico delle imprese. Rimane comunque l’obbligo del versamento di una quota ridotta per le aziende che non hanno mai attivato o decidono di rinunciare al contenzioso, con una deroga fino al 30 giugno.

Questo è un primo segnale che indica che il governo sta cercando di reperire risorse per sanare quello che non è altro che un buco di bilancio, ma ciò non è sufficiente: le associazioni di categoria Confindustria dispositivi medici e FIFO sanità chiedono l’eliminazione della legge.

Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria dispositivi medici, in un esposto alla Commissione Europea afferma: “Ribadiamo che l’idea di sciogliere la questione con uno sconto, lasciando ancora in vigore il meccanismo, è una via non percorribile per le nostre imprese. Abbiamo depositato un esposto alla Commissione Europea affinché valuti l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italiaperché il payback viola le norme comunitarie in materia di concorrenza e accesso al mercato.”

Anche Massimo Riem, presidente FIFO, sottolinea la pericolosità del payback: “Nel 2019 il SSN ha acquistato dispositivi medici per un valore pari a circa il 5.4% del bilancio; la nostra spesa sanitaria pro-capite è tra le più basse d’Europa, eppure si vuole introdurre un tetto di spesa ancora più basso, pari al 4.4%. Mai come negli ultimi anni abbiamo visto i danni che possono provocare i tagli alla sanità: ecco perché il payback dovrebbe preoccupare tutti noi.”

A breve dovrebbero essere emanate nuove indicazioni, ma almeno per ora ci rincuora sapere che ci sia una forte attenzione al tema da parte delle forze politiche.

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