Il concetto di One Health fa riferimento all’interazione fra diversi settori finalizzata all’ottenimento dei migliori risultati in termini di salute pubblica. Questo approccio sposta sempre di più gli equilibri sanitari verso la globalità. Verso, appunto, la salute globale.
Aprendo i lavori del 27esimo meeting della World Organization for Animal Health (OIE) il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Ghebreyesus ha ammonito:
Possiamo prevenire le pandemie future solo con un approccio One Health integrato fra salute pubblica, salute animale e qualità dell’ambiente. Ma ora dobbiamo spostare la nostra collaborazione ad un livello superiore
Non solo zoonosi
Gli obiettivi e le metodologie con cui devono essere implementate le soluzioni sulla salute globale devono essere declinate in maniere diverse a seconda del territorio nel quale verranno applicate. Questo è il primo punto su cui Ghebreyesus si è soffermato.
Se è sul territorio che sono nate le criticità, è altrettanto vero che debbano localmente trovare soluzione, al netto di iniziative globali armonizzate.
Il 70% di tutte le patologie emergenti è un problema che origina negli animali, ma sarebbe limitante considerare le zoonosi l’unico rischio. Sarebbe miope guardare ad esse senza volgere oltre lo sguardo, occupandosi di ciò che ha portato alla loro origine, che ha creato le condizioni perché nascessero e si propagassero.
Si tratta di qualcosa di più che uno spillover. Qualcosa che coinvolge la distruzione sistematica degli ecosistemi, la deforestazione, l’immissione di sostanze inquinanti nelle acque e nell’atmosfera e l’alterazione degli habitat animali.
La salute globale è qui e oggi
L’approccio corretto alla salute globale, quindi, non può prescindere da una seria responsabilizzazione nei confronti di queste problematiche. Una presa di coscienza dei cittadini, che sono chiamati alla partecipazione attiva, contestuale ad un serio e rapido impegno della politica per salvare ciò che resta di un equilibrio ormai seriamente compromesso.
Dobbiamo rivedere il nostro stile di vita, a cominciare dall’alimentazione, troppo basata sui derivati animali. Dobbiamo individuare soluzioni che risolvano i problemi degli allevamenti intensivi. Non solo dal punto di vista della qualità di vita del bestiame (che, in un modo o nell’altro, non può non ripercuotersi sugli standard della filiera agro-alimentare), ma anche al fine di limitare la somministrazione (e quindi il consumo) di antibiotici, di contenere i volumi di acqua consumata, di energia assorbita e di anidride carbonica emessa.
Oltre la crisi, l’opportunità
Intravedere una possibilità di rinascita e miglioramento quando ci si trova ancora nel bel mezzo di un’emergenza di queste dimensioni è facile solo sulla carta. Ma la pandemia ci sta offrendo un’occasione unica per ripensare alla salute globale e al nostro futuro.
Non che non avessimo avuto avvertimenti. La diffusione della SARS e le riflessioni prodotte da grandi studiosi e filantropi accorti (uno su tutti Bill Gates) avrebbero dovuto stimolare qualche dibattito in più. E poi, le stime allarmanti sul livello di devastazione prodotto dagli insediamenti umani ai danni delle specie animali, confinate in habitat sempre più ristretti e per questo sempre più in contiguità con i villaggi umani (e quindi a rischio di spillover).
Ma ora siamo di fronte ad un bivio.
Possiamo agire mettendoci tutti d’accordo e, individuando soluzioni al problema contingente, ridurre anche i rischi per il futuro. Oppure rassegnarci alla dis-integrazione, agli interventi unilaterali, scoordinati e reciprocamente neutralizzanti.
Questa catastrofe ci renderà migliori? Al di là delle accezioni puramente retoriche, spetta a noi stabilirlo. Non a parole, stavolta, ma con una mentalità diversa, gesti concreti e abitudini nuove.