Il ruolo delle microplastiche nella diffusione della resistenza agli antibiotici

Una ricerca statunitense approfondisce il tema dell'AMR focalizzandosi sul biofilm delle microplastiche presenti nelle acque degli impianti di depurazione.

0
1002

Il problema dell’inquinamento da materiale plastico è una preoccupazione crescente non solo per l’ambiente, ma anche per gli esseri umani. Oltre alle minacce dirette per la salute, come l’ingestione di nanoplastiche, esistono infatti anche rischi indiretti. Un esempio è la funzione di punto di accumulo e trasporto di batteri resistenti agli antibiotici (ARBs) e geni dell’antibiotico-resistenza (ARGs) svolta dalle microplastiche.

Uno studio apripista

A dirlo è una ricerca condotta dal Dipartimento di Chimica e Scienze Ambientali del New Jersey Institute of Technology. Per indagare il ruolo delle microplastiche nella diffusione della resistenza agli antibiotici, i ricercatori hanno analizzato dei campioni di acqua provenienti da tre depuratori. In particolare, hanno messo a confronto il biofilm formatosi sui frammenti di polietilene e polistirene rinvenuti nei campioni con quello delle particelle di sabbia presenti. La scelta di concentrarsi su questo tipo di materiali è stata determinata dal fatto che polietilene e polistirene sono le plastiche più utilizzate nei prodotti commerciali e quindi anche le più rappresentate nelle acque di scarico. La sabbia, invece, è il detrito naturalmente più abbondante in sospensione nelle acque dei depuratori.

Analizzando il biofilm, i ricercatori si sono focalizzati su alcuni elementi chiave che potessero dimostrare la presenza di ceppi antibiotico-resistenti. In particolare, la ricerca ha coinvolto due geni che causano la resistenza agli antibiotici sulfamidici (sul1 e sul2) e l’elemento genetico mobile intI1, noto per il suo ruolo di mobilizzazione dei geni dell’antibiotico-resistenza.

I risultati

Lo studio ha dimostrato una maggiore presenza dei geni target sulle microplastiche rispetto alle particelle di sabbia. Questo dimostra che i frammenti plastici trasportano una quantità più elevata di ceppi resistenti, ma anche che su questi detriti c’è una maggiore probabilità di scambio genetico orizzontale, dovuto alla presenza di intI1.

I ceppi patogeni resistenti agli antibiotici rinvenuti sulle microplastiche in quantità significativamente maggiore appartengono principalmente a 8 taxa diversi. Esempi di quelli resistenti ai sulfamidici sono Raoultella ornithinolytica e Stenotrophomonas maltophilia, responsabili di infezioni alle vie respiratorie e batteriemia. Tra i ceppi rinvenuti sulle microplastiche e resistenti ad altri tipi di antibiotici, ci sono invece Acinetobacter parvus e Sphingobacterium multivorum, agenti infettivi pericolosi soprattutto per le persone immunodepresse.

Inoltre su polietilene e polistirene si è riscontrata una maggiore quantità di ceppi formanti biofilm, come i microrganismi del genere Novosphingobium, conosciuti per essere in grado di degradare vari composti aromatici. Recenti studi hanno confermato la loro capacità di intaccare le regioni amorfe del polietiene, cosa che li rende probabili colonizzatori primari delle microplastiche. Un altro esempio sono i microrganismi del genere Flectobacillus. Questi batteri filamentosi sono in grado di secernere sostanze adesive, promuovendo così la formazione del biofilm. La maggiore presenza di biofilm forma poi un terreno fertile per la colonizzazione di altri microrganismi e facilita, quindi, lo scambio genetico orizzontale tra batteri, principale causa di acquisizione di antibiotico-resistenza.

Microplastiche e resistenza agli antibiotici

La preferenza dei batteri per le microplastiche è dovuta all’idrofobicità della superficie di queste, maggiore rispetto a quella di altri detriti. In ambiente acquoso, infatti, i ceppi batterici con una superficie cellulare idrofobica tenderanno ad attaccarsi a superfici altrettanto idrofobiche, per minimizzare il contatto con l’acqua. Inoltre, il biofilm delle microplastiche può contenere tracce di antibiotici. Il loro contatto con i microrganismi può incrementare il già favorito fenomeno di acquisizione della resistenza, a causa dell’aumento della pressione selettiva.

Questa ricerca non vuole essere esaustiva, ma anzi si propone come apripista per ulteriori approfondimenti su quella che viene definita plastisfera. Questo termine viene utilizzato per definire l’insieme degli ecosistemi che si trovano associati alla plastica dispersa nell’ambiente.

In particolare, gli autori dello studio si augurano di aver dato degli spunti per continuare a studiare le acque reflue e gli impianti di depurazione, in modo da comprendere ancora meglio il ruolo delle microplastiche nella diffusione della resistenza agli antibiotici. La ben nota capacità dei biofilm di tollerare l’azione dei disinfettanti, infatti, potrebbe causare una diminuita efficacia dei trattamenti delle acque reflue e quindi una maggiore diffusione nell’ambiente dei ceppi e dei geni resistenti accumulati sulle microplastiche.

Articoli correlati

Lotta all’AMR nel Programma europeo per la salute 2021-27 (EU4Health)