Diversità driver per l’innovazione

Nei settori tecnico-scientifici una maggior presenza femminile potrebbe rappresentare un booster per la competitività delle imprese, ma il loro coinvolgimento resta minimo

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Diversità di genere

Il settore digitale rappresenta forse meglio di qualunque altro il paradosso del gender gap nel mondo dell’industria. Molte ricerche dimostrano che team con più spiccata diversità di genere conducono a processi decisionali più efficaci e a prodotti e servizi più innovativi (il che in definitiva genera prestazioni aziendali migliori). Tuttavia, la presenza di donne in ruoli tecnici resta minima.

Secondo le stime riportate dall’Unesco science report, il divario educativo di genere nel campo delle cosiddette STEM (Science, technology, engineering e maths) costerà all’economia dell’Unione europea tra i 610 e gli 820 miliardi di euro entro il 2050, in termini di mancata crescita del PIL.

Il mercato, tra l’altro, avrebbe un enorme bisogno di addetti. La Commissione stima che il 53% delle aziende ICT in Europa incontrino difficoltà a reperire i tecnici specialisti di cui hanno bisogno. Secondo i calcoli mancano all’appello circa un milione di digital expert.

Diversità e gender gap in ambito STEM

Nonostante le promettenti premesse, poche ragazze e donne studiano nell’ambito STEM, che rappresenta spesso il primo passo per una carriera nel settore digitale. Tra i laureati in materie scientifiche, solo uno su tre è donna. Quando si arriva al settore ICT (Information e communication technology) la situazione peggiora ulteriormente: solo un addetto su sei è donna (il 17% del totale, che in Italia scende al 15,5%). Per di più, le poche donne che hanno trovato spazio nel settore guadagnano quasi il 20% in meno degli uomini. Molte donne che entrano nel settore digitale lo abbandonano presto per scegliere altre carriere.

Anche nel caso in cui una donna decida di provarci da sola trova la strada sbarrata. Gli studi dimostrano che le startup a guida femminile hanno più probabilità di successo di quelle completamente maschili. Eppure c’è una crescita molto lenta nella quota di imprenditrici nel settore digitale (che al momento non raggiunge nemmeno il 20%). Un ostacolo all’imprenditoria femminile potrebbe risiedere nelle difficoltà di reperire i fondi necessari ad avviare l’attività. Secondo i dati UE, il 93% del capitale investito in aziende europee nell’anno di rilevazione è finito ad aziende i cui fondatori erano tutti uomini.

All’origine di questa situazione ci sono soprattutto motivi culturali, pregiudizi e stereotipi di genere che popolano la vita reale e le rappresentazioni che i media propongono. Gli specialisti della tecnologia e del digitale sono spesso raffigurati come uomini e c’è una palese carenza modelli femminili che possano ispirare donne e ragazze a studiare STEM e a provare la carriera in campo digitale.

Parliamo di diversità e inclusione con Gianna Martinengo

Un modello di diversità Gianna MartinengoGianna Martinengo è un’imprenditrice estremamente dinamica che ha incentrato il suo percorso professionale sull’innovazione tecnologica e sociale. Si è formata in Bocconi, Cattolica e a Stanford. Ha dunque unito le due anime umanistica e scientifica sviluppando soluzioni tecnologiche innovative che hanno spesso ricadute a favore della società e delle sue diverse fasce.

Nel 1983 ha fondato DKTS (Digital knowledge technologies services), di cui è anche presidente. Si tratta di una società specializzata in consulenza e progettazione di sistemi interattivi per l’informazione, la comunicazione e l’apprendimento. Dalla nascita della società ha ideato e coordinato oltre 800 applicazioni technology based e 75 progetti europei di ricerca nei settori dell’innovation technology e della social innovation. Attualmente è membro dell’International advisory board di STOA: il Panel for the future of science & technology che fa capo al Parlamento europeo e si focalizza sull’intelligenza artificiale. Nella sua carriera Martinengo ha lanciato numerose altre startup in Italia e all’estero.

Nel 2009 ha fondato Women&Tech, Associazione Donne e Tecnologie, e ha ideato il premio “Le Tecnovisionarie” che seleziona i migliori talenti femminili. Inoltre, ha ideato una serie di eventi e percorsi formativi dedicati ai giovani e incentrati sui mestieri del futuro (come i Ready4Future).

Tra i riconoscimenti ricevuti per la sua attività di imprenditrice innovativa e sociale spiccano Inspiring Fifty, Premio donne e futuro per la tecnologia e l’Ambrogino d’Oro (il massimo riconoscimento concesso dal Comune di Milano).

Insieme a lei abbiamo analizzato la paradossale situazione delle donne nei settori del digitale e dell’ICT.

Nel suo ricchissimo percorso professionale, che difficoltà ha incontrato come donna?

Ripercorrendo la mia lunga carriera non ho particolari ricordi negativi. Forse, a trovare sempre il bello e a credere in quello che stavo facendo hanno contributo la mia origine piemontese, il mio desiderio di arrivare all’obiettivo, il credere che un’imprenditrice donna non ha nulla da invidiare a un collega uomo. Con questa determinazione anche le difficoltà hanno assunto un’altra dimensione, meno dolorosa.

Secondo lei perché le donne non trovano ancora spazio nei settori tecnico-scientifici?

I motivi sono svariati e ogni Paese ha le proprie peculiarità. Per quanto ci riguarda, possiamo certamente dire che vi sono retaggi che ancora oggi non riusciamo ad abbattere compiutamente: penso al fatto che molte giovani non vengono indirizzate alle materie STEM e questo si traduce in una mancanza di donne nelle aziende. È semplice quanto disarmante; da qui l’impegno che come Women&Tech abbiamo preso da anni nei confronti delle bambine e delle ragazze, perché possano considerare tutti gli sbocchi professionali e indirizzarsi a ogni corso di studi senza preclusioni o pregiudizi.

Ci sono delle peculiarità nel settore tecnologico che ne limitano la presenza?

Se con questa domanda intende che vi siano skill legate all’ambito tecnologico che vedrebbero gli uomini maggiormente adatti, la risposta è assolutamente e sicuramente no.

Abbiamo l’abitudine di pensare che le donne siano più propense alle materie umanistiche, all’attività di marketing e comunicazione, per fare un esempio. Ma è, appunto, un pre-giudizio non basato su alcun dato scientifico. È sempre stato così, ma non dovrà essere per forza così in futuro.

Mi riferivo a uno studio CE che afferma che nell’ICT – più che in altri settori vi è carenza di modelli femminili.

Sì, anche questo è vero.

Come si interrompe questo circolo vizioso?

Parlando, raccontando, narrando, facendo emergere quei role model – che ci sono! – che possono diventare un faro per tutte le ragazze e donne che, magari un po’ smarrite o titubanti, faticano a credere in se stesse e nel proprio potenziale.

Un esempio di best practice in questo senso è dato dal nostro portale www.donnenellascienza.it, nel quale proponiamo interviste alle donne di scienza dall’antichità ai giorni nostri.

Ad esempio, in che cosa le donne potrebbero fare la differenza nel settore tecnologico?

A questo punto della mia carriera posso affermare con compiuta fermezza che non sono le donne ad aver bisogno di essere introdotte a pieno titolo nell’ICT; è vero il contrario. Sono le tecnologie ad avere bisogno delle donne e delle loro specifiche competenze, di quelle soft skill di cui tanto si parla, ovvero le capacità di:

  • avere una visione laterale;
  • immaginare la realtà con maggior creatività;
  • saper lavorare bene in team;
  • coinvolgere tutti i protagonisti di un certo progetto o processo.

Questo fa e farà la differenza.

Come si valorizzano queste competenze in una società che identifica ancora il leader con caratteristiche prettamente maschili?

La donna deve smettere di scimmiottare la leadership maschile ma non la deve abbattere: rispettandola, deve trarre da essa gli elementi positivi e unirli a quelli che le sono propri. Io ogni mattina non mi chiedo: “Cosa posso fare per essere migliore dei colleghi maschi”?, mi chiedo: “Come posso fare bene?”.

Forse è arrivato il momento di prendere coraggio e pensare che la società può diventare migliore grazie a uomini e donne, ma non in gara, bensì in cooperazione.

Women&Tech  è stata fondata nel 2009: per le donne nelle STEM è cambiato qualcosa da allora in Italia?

Ho sempre suggerito alle donne di non assumere alcun atteggiamento vittimistico, ma di lottare e faticare anche il doppio, se necessario, per raggiungere un certo obiettivo o un certo incarico. In questi anni, anche grazie al lavoro di moral suasion di Women&Tech e analoghe realtà, le donne hanno maggiore consapevolezza di ciò che possono portare “in dote” al mondo STEM; vi sono tantissime figure che ricoprono ruoli apicali in tantissimi settori, penso al Biotech, al Pharma, alle nuove tecnologie; donne che sono nei board e lavorano egregiamente. Manca purtroppo sempre l’ultimo miglio, da completare, quello di un welfare capace di supportare le famiglie, ma questo non è un discorso legato solamente alle tecnologie…

Secondo la sua esperienza, esiste anche un problema di diffidenza degli investitori istituzionali (tipicamente uomini) nelle imprese femminili?

Se gli investitori istituzionali sono legati a vecchi e falsi stereotipi la risposta è sì. Voglio pensare però che tutto stia evolvendo e anche questa percezione, dato che, numeri alla mano, le imprese al femminile vantano performance migliori di quelle maschili…

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