Lo scorso gennaio Confindustria ha dato il via al B20, l’autorevole engagement group riservato alle imprese. L’obiettivo è il supporto alla presidenza italiana del G20, evento che si verifica per la prima volta nella storia. Supporto che si realizza attraverso proposte provenienti dal mondo economico elaborate da gruppi di lavoro dedicati. Contestualmente è avvenuta la presentazione del progetto B20 Women Empowerment, un’iniziativa sulla valorizzazione del ruolo della donna nell’ottica anche dell’occupazione femminile. Diana Bracco, presidente e CEO del Gruppo Bracco e presidente del Cluster ALISEI, ne è stata nominata ambassador.
Come leader, avrà il compito di creare e guidare un gruppo di lavoro trasversale fra le task force incentrato sull’empowerment femminile. E proprio attorno alle implicazioni professionali e sociali di questo incarico si dipana la nostra conversazione, nell’ambito dell’intervista che Diana Bracco ha concesso a MakingLife.
Quali obiettivi si pone come B20 Women Empowerment Ambassador?
Oggi nessuna impresa, istituzione o Paese del mondo può rinunciare allo straordinario contributo delle donne, che hanno dimostrato ovunque di essere un fattore di sviluppo civile e culturale e anche un indiscusso motore di crescita sociale ed economica.
La dimensione femminile, tra l’altro, è oggi per me anche la più adeguata per affrontare le nuove sfide globali. A iniziare dalla necessità di abbracciare uno sviluppo pienamente sostenibile. Le donne sono oramai le protagoniste di un vero cambiamento di paradigma, il passaggio da un modello di mero sfruttamento delle risorse a un atteggiamento “protettivo” nei confronti della Terra.
Venendo alla sua domanda, il mondo delle imprese può e deve svolgere un ruolo importante. Per questo ho accettato il ruolo di B20 Women Empowerment Ambassador che mi ha affidato Confindustria. La natura trasversale della questione di genere richiede un’ottica multidimensionale e intersettoriale, politiche attive del lavoro e miglioramento delle infrastrutture sociali. La special initiative che stiamo creando convoglierà esperienze e background diversi del gruppo di rappresentanti che ne faranno parte. Avrà il triplice ruolo di advocacy, formulando raccomandazioni ai governi del G20, di promozione di maggiore consapevolezza sul tema nei confronti degli stakeholder rilevanti e di catalizzatore di sinergie con gli altri engagement group del G20, che quest’anno sarà a presidenza italiana.
A suo parere, con quali iniziative innestate nel percorso di formazione si può modificare la percezione sociale delle discipline STEM? Sappiamo che sono ancora vissute come ambiti prevalentemente maschili.
Condizione essenziale per progredire sul piano di un’effettiva e sostanziale parità è innalzare l’occupazione femminile, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. Come fare? Dobbiamo puntare sulle competenze: il vero empowerment passa per meritocrazia e skill.
Competenze significa cominciare con piani educativi che partano dalla formazione primaria e giungano a quella superiore, dove occorre favorire la formazione scientifica delle ragazze. A questo obiettivo mirano anche le misure a favore dell’imprenditoria femminile, della libera scelta della maternità e, nel campo dell’istruzione, le politiche che favoriscono in particolare l’accesso da parte delle donne all’acquisizione di competenze STEM.
A questo riguardo, mi lasci ricordare un’iniziativa portata avanti da Fondazione Bracco grazie alla collaborazione con l’Osservatorio di Pavia e l’Associazione Giulia Giornaliste e il sostegno della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea: “100 donne contro gli stereotipi”. È un progetto avviato nel 2016 per valorizzare l’expertise femminile. Dopo la creazione della banca dati di esperte del settore STEM e dell’economia e finanza, la nostra attenzione si è rivolta alla politica internazionale.
In questi anni abbiamo creato un prezioso database. Ha permesso di dare una piattaforma e una visibilità alle tante voci femminili autorevoli che lavorano in questi settori così strategici, che troppo spesso sono appannaggio dei soli colleghi maschi. Accanto alla banca dati, la nostra Fondazione ha promosso anche la nascita della collana #100esperte, edita da Egea. Questo per affiancare allo strumento digitale un supporto narrativo che racconti stralci della vita privata e professionale di queste donne, delle loro difficoltà lavorative e delle conquiste di carriera delle esperte coinvolte.
La possibilità delle donne di fare impresa è spesso limitata dall’accesso al credito. Come ritiene che si possa favorire l’inclusione finanziaria?
La parità di opportunità e di diritti va realizzata contestualmente in diversi ambiti: dall’istruzione alla formazione, dall’occupazione femminile al supporto all’imprenditorialità, dal credito alle donne al bilanciamento tra impegni familiari e lavorativi. Possibilmente con l’ausilio di politiche sulla diversity nelle imprese e programmi di welfare aziendale.
Gli investimenti nelle infrastrutture sociali creano opportunità di occupazione femminile di qualità e contribuiscono a liberare il potenziale delle donne, rendendo il lavoro di cura una questione di rilevanza pubblica, mentre oggi nel nostro Paese è lasciato sulle spalle delle famiglie e spesso distribuito in modo diseguale fra i generi. In base a tutte le più autorevoli proiezioni risulta che il maggiore impulso alla crescita globale nel prossimo futuro verrà proprio dal lavoro femminile e dalla riduzione del gap di partecipazione delle donne all’economia. D’altronde l’Ocse stima che nei prossimi sei anni il PIL mondiale potrebbe aggiungere due punti e mezzo se dimezzassimo il gap di partecipazione delle donne all’economia.
Concludo con una riflessione sugli effetti che sta avendo la terribile pandemia sull’occupazione femminile. Com’era prevedibile l’emergenza sanitaria ed economica sta facendo pagare un prezzo altissimo alle donne, inasprendo le disuguaglianze. A farsi carico dell’aumentato lavoro di cura a carico delle famiglie sono state soprattutto loro.
Guardando alla situazione italiana attuale, i numeri sono impietosi. Solo tra novembre e dicembre 2020 le donne occupate sono diminuite di 99mila unità. Questo mentre tra gli uomini la flessione è di 2.000 posti di lavoro. Il saldo finale di un anno contrassegnato da dieci mesi di pandemia si traduce in una perdita di 444mila posti di lavoro di cui il 70% sono donne. Non è un caso. La crisi ha colpito di più il settore dei servizi, e quindi le donne. A farsi carico dell’aumentato lavoro di cura in famiglia sono state soprattutto loro. È la crisi della cura, e in tutto il mondo a causa della pandemia il tasso di occupazione femminile sta compiendo inaccettabili passi indietro. La prima raccomandazione che come business community dovremo fare ai Governi del G20 è pertanto quella di invertire subito questa tendenza.
Oggi il 40% dei farmaci utilizzati in UE proviene da Paesi terzi, in particolare asiatici. In che modo è possibile recuperare autonomia in un ambito strategico come quello farmaceutico?
Aumentare l’indipendenza per le forniture di prodotti sanitari è strategico per lo sviluppo di tutta l’Unione Europea. Il made in Italy può competere a livello globale e con nuovi investimenti. L’Italia potrebbe potenziare e portare nel territorio europeo la produzione di farmaci e principi attivi farmaceutici. Sia nuovi sia quelli che oggi sono prodotti totalmente o in larga parte al di fuori dei confini UE. E così contribuire alla resilienza del nostro sistema sanitario e all’autonomia strategica dell’Europa rispetto a Cina, India, USA.
Il Cluster ALISEI, insieme a Farmindustria, Egualia e Federchimica Aschimfarma, ha dato vita a un progetto che speriamo venga inserito nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Si tratta di un progetto di ampliamento e modernizzazione di impianti per la produzione sia di farmaci che di principi attivi, sulla base di una mappatura delle capacità produttive esistenti in Italia, delle potenzialità di nuove attività produttive e delle possibili carenze a livello nazionale ed europeo.
Gli investimenti servirebbero, oltre che per potenziare la produzione (in termini quantitativi e qualitativi), anche per innovare i processi produttivi, in termini di ottimizzazione dei processi e riduzione dell’impatto ambientale, rispondendo quindi anche alle priorità ambientali del piano Next Generation UE. Sono tante le aziende della filiera farmaceutica in Italia che hanno aderito al progetto. Ci sono oltre 60 possibili progetti distribuiti al Nord, al Centro e al Sud. Sono pronte a investire rapidamente circa 1,5 miliardi di euro, con un potenziale occupazionale complessivo di 11mila addetti aggiuntivi, a fronte di una parte di finanziamento pubblico e di altre misure di sostegno. Questo progetto di investimento può rafforzare ulteriormente la competitività della nostra filiera farmaceutica a fronte di una concorrenza a livello globale sempre più agguerrita a causa dei considerevoli programmi di sostegno che altri Paesi hanno messo in campo per la loro industria nazionale.
L’Italia non può sprecare l’opportunità storica rappresentata dal Next Generation EU e deve presentare progetti d’investimento che garantiscano davvero crescita e nuova occupazione.