Paziente centrale e consapevole

La medicina si sta orientando verso un paziente empowered. Di quali competenze ha bisogno e cosa può fare il paziente per assumersi la propria responsabilità nel processo di cura e prevenzione?

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Il paziente al centro

Il paziente al centro è il mantra del mondo della salute di questi anni. L’attenzione al paziente centrale e consapevole si concretizza in una ricerca basata sulla genetica del paziente, in un linguaggio medico che scende dalla cattedra e si libera dei “paroloni”, in un packaging attento alle difficoltà del malato.

Questo approccio capovolge il paradigma della cura e non sempre i pazienti sono disposti a mettersi al centro della propria salute o del processo di  cura e guarigione. Essere al centro implica essere consapevoli di cosa si vuole e comunicarlo in modo comprensibile all’interlocutore, non solo essere informati correttamente e avere compreso il significato delle informazioni ricevute. Significa essere responsabili della propria salute. E questo è un impegno che, in realtà, non tutti sono disposti a sostenere. La consapevolezza quindi è il primo passo verso la realizzazione di un paziente al centro, responsabile della propria salute e dei processi di cura.

Un paziente consapevole non è solo un paziente informato. È una persona che sale sul palco della salute conoscendo il copione, ma recitandolo con il colore dei propri valori, dei propri bisogni e dei propri confini e trovando altri attori che accolgono la sua interpretazione.

È altresì importante che anche la persona-professionista sanitario sia consapevole. Questo perché solo in questo modo il colloquio e la relazione con la persona-paziente saranno in grado di produrre un reale processo terapeutico e di cura. E nessun medico si troverà a domandare: “Perché non fa quello che dico?”

Paziente centrale e consapevole, non basta essere informati

Il termine consapevolezza deriva dall’unione di “con” e “sapere”, con-sapere, ovvero essere a conoscenza di qualcosa, rendersi conto di qualcosa.

Vivere consapevolmente vuol dire cercare di essere consci di tutto quello che riguarda le nostre azioni, i nostri bisogni, i nostri obiettivi e i nostri valori in tutte le aree della nostra vita (lavoro, relazioni, salute, famiglia, finanze, spiritualità). Significa anche farlo al meglio delle nostre capacità, grandi o piccoli che siano, e comportarci d’accordo con quello che vediamo e sappiamo. Significa rispettare gli eventi reali senza cercare di eluderli o di negarli, essere concentrati su ciò che stiamo facendo mentre lo facciamo, individuare i nostri confini, il nostro scopo ed essere coscienti del nostro mondo interiore.

La consapevolezza ci garantisce di vivere la vita che desideriamo rispondendo ai nostri bisogni più profondi e rispettando le nostre “condizioni”.

Essere consapevoli, quindi, va ben al di là dell’essere informati o del concetto di conoscenza intellettuale. È una condizione in cui la cognizione di qualcosa si fa interiore, profonda, perfettamente armonizzata col resto della persona, in un tutt’uno coerente. È quel tipo di sapere che dà forma a chi siamo, alla condotta di vita, alla disciplina, rendendole autentiche e denota uno stato frutto di un processo estremamente intimo, e di importanza cardinale.

La consapevolezza è così importante da essere considerata in coaching il primo pilastro su cui si fonda l’autostima che, in tal senso, è la reputazione che acquistiamo presso noi stessi.

Va da sé che la consapevolezza non si può inculcare. Non è un dato o una nozione, e non ci arriva in dono il giorno del nostro 18esimo compleanno. Però c’è una buona notizia: si può allenare.

Imparare la consapevolezza

L’allenamento parte da due principi base: ascolto attivo, profondo e accogliente, e osservazione. Principi che possono sembrare semplici, ma ai quali non siamo culturalmente abituati. Difficilmente stiamo nel qui e ora, in connessione profonda con noi stessi, siamo troppo presi da quello che è successo o da quello che succederà nel nostro immediato futuro. Difficilmente ci “concediamo il permesso” di dichiarare i nostri bisogni, senza sentirci deboli e a disagio. Questa invece è la chiave per poter arrivare alle decisioni più giuste anche per la nostra salute.

Quando ci sentiamo alla deriva e in trappola, è difficile prendere decisioni che ci mettano al centro senza farci sentire in colpa perché in qualche modo non stiamo soddisfacendo le aspettative altrui. L’approvazione degli altri crea dipendenza. Ci illude che può renderci felici e ci dà quell’adrenalina che ci convince che stiamo andando nella giusta direzione.

In realtà, nel percorso di salute è fondamentale liberarsi da queste convinzioni limitanti e concentrarsi su di sé invece che sull’essere sempre all’altezza delle aspettative. Così potremo riuscire ad ascoltare veramente e profondamente noi stessi. Sganciarci da tutto questo implica un grande lavoro di auto-conoscenza e un passaggio cruciale da cui spesso si tende a fuggire: stabilire i nostri limiti. Si crede che stabilire dei confini equivalga a sabotare le relazioni, ad allontanare gli altri. In realtà evoca chiarezza e identità, ci permette di riconoscere il nostro spazio e quello altrui.

È quando non stabiliamo confini precisi che iniziamo a sabotarci, smettiamo di dire i nostri no e alimentiamo, negli altri, aspettative irrealistiche e snervanti per noi. Come se si stesse parlando della loro e non della nostra salute.

Quattro azioni pratiche per esercitare la consapevolezza

  • Prenderci del tempo prima di rispondere a una richiesta o a una situazione
  • Comunicare e rispettare i nostri bisogni e i nostri impegni
  • Darci il permesso di cambiare idea
  • Esprimere la nostra opinione.

Tra lo stimolo e la risposta c’è uno spazio e in quello spazio sta tutto il nostro potere di scegliere nella nostra risposta risiede la nostra crescita e la nostra libertà.

Viktor Frankl, neurologo e psichiatra

Un approccio attivo

Quando il paziente (o il professionista della salute) si trovano a ragionare sui propri bisogni e a chiedersi che cosa sia giusto per loro in un preciso momento, lo sforzo da fare è quello di andare più in profondità rispetto alla situazione contingente di salute o malattia. In sostanza, è importante ampliare la riflessione e il contesto temporale, ragionando più sul lungo periodo.

La persona-paziente al centro della cura deve acquisire più consapevolezza rispetto al disagio che sta vivendo e al sintomo che si sta manifestando. D’altra parte, la persona-professionista deve imparare a essere un facilitatore di questa consapevolezza, guidando il paziente in un percorso di conoscenza di sé e delle proprie esigenze. L’obiettivo è condurre il paziente ad effettuare le giuste scelte (anche in ambito terapeutico). Potrà così garantirsi un decorso della malattia e in generale un percorso di guarigione più efficace.

Diventare consapevoli di chi siamo, dei nostri bisogni, dei nostri confini, di quanto è accaduto nella nostra vita, di come siamo cambiati, di quale futuro ci sta davanti è un passo fondamentale. Chi è consapevole non subisce e non reagisce a ciò che accade. Invece agisce, affronta, rielabora, è sveglio, presente e tiene ben saldo il timone della propria esistenza, salute compresa.

Per approfondire

La centralità del paziente è il tema portante del numero di giugno di MakingLife PharmaFuture & Health.

MakingLife PharmaFuture&Health Giugno 2021

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