Quando pensiamo all’antibiotico-resistenza, dove immaginiamo di trovarla? Sicuramente non nelle nostre abitazioni. Invece oltre che in ospedali e laboratori, la selezione di ceppi resistenti agli antibiotici può avvenire proprio dove in genere passiamo buona parte del nostro tempo. A parlare della resistenza agli antibiotici indoor e delle sue implicazioni sono tre ricercatrici della Northwestern University di Evanston, Illinois (USA) in un articolo pubblicato su Nature.
Casa dolce casa
Le mura domestiche possono essere un luogo di incontro tra microrganismi di diversa provenienza. Innanzitutto ci sono quelli che abitano l’organismo umano, in particolare tipici del microbiota della pelle, delle feci e del cavo orale. Inoltre non siamo noi gli unici abitanti delle nostre case: quante persone hanno animali domestici? Per non parlare delle piante e degli animali indesiderati ma comunque presenti, come insetti o acari, tutti con il loro corredo batterico.
Bisogna poi considerare le componenti abiotiche, come il suolo, l’acqua e l’aria atmosferica, che inevitabilmente contengono microrganismi e altrettanto inevitabilmente entrano nelle nostre abitazioni.
Questo affollamento di ceppi di origini diverse crea condizioni uniche di incontro e scambio di materiale genetico. Nei batteri infatti è estremamente frequente il fenomeno di trasferimento genico orizzontale, che permette il passaggio di materiale genetico tra microrganismi anche appartenenti a ceppi diversi.
Benché si tratti di un fenomeno del tutto naturale, alcune condizioni presenti nelle abitazioni possono stressare i microrganismi, accentuare il fenomeno e addirittura dirigerlo verso la selezione di ceppi resistenti.
Gli stress di casa nostra
Le condizioni microclimatiche all’interno delle abitazioni influiscono sulle popolazioni batteriche presenti. Umidità, temperatura e irraggiamento, infatti, rendono ogni abitazione un habitat a sé stante e possono trasformarsi in fattori che selezionano determinati ceppi piuttosto che altri.
Inoltre condizioni frequenti nelle case come sbalzi di temperatura, aria secca e penetrazione di luce ultravioletta sono fonti di stress che possono favorire il trasferimento di materiale genetico. Non solo. C’è infatti una condizione in particolare che può direttamente selezionare ceppi resistenti agli antibiotici: la presenza nelle case di residui di sostanze chimiche.
Nella polvere delle abitazioni infatti è facile rintracciare tracce di antibatterici come triclosan, triclocarban e parabeni. Queste molecole vengono utilizzate nei prodotti per l’igiene e nella verniciatura dei mobili e sono fonti di stress che esercitano una pressione selettiva sui batteri che favorisce non solo il trasferimento genetico orizzontale, ma anche la vera e propria acquisizione della resistenza.
Studiare la resistenza agli antibiotici indoor
Caratterizzare le popolazioni batteriche delle abitazioni e studiare la resistenza agli antibiotici indoor non è semplice. Ogni organismo vivente possiede infatti un proprio microbioma che lo contraddistingue, come fosse una firma. Se a questo si aggiunge che ogni località geografica è abitata da microrganismi diversi e che le abitazioni hanno tutte condizioni differenti l’una dall’altra, si ottiene una quantità di combinazioni che rende davvero complicato fare considerazioni generali.
L’argomento tuttavia merita attenzione, vista la quantità di tempo che passiamo tra le mura domestiche e la portata dei problemi legati ai ceppi antibiotico-resistenti. Importante è quindi approfondire la risposta dei microrganismi agli stress e studiare le fonti di esposizione domestiche, così da poter progettare case più sane.
Sempre tenendo presente però che evitare completamente il contatto con i batteri non è un obiettivo poi così desiderabile. In questo modo si correrebbe infatti il rischio di selezionare ceppi ancora più resistenti, oltre a privarci di utili alleati. Sempre più riconosciuto è infatti il ruolo dei microrganismi nel mitigare diversi problemi di salute umani, come le allergie.
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