Quello del 2021 è stato un luglio caldo, il più caldo mai registrato dal 1880, ovvero da quando si effettuano le misurazioni.
L’ufficialità della notizia è arrivata dagli esperti dell’ente statunitense Noaa (National oceanic and atmospheric administration):
In questo caso, il primo posto è il peggior posto dove si possa stare
Rick Spinrad, membro del board di Noaa
Il dato è solamente l’ennesima conferma che l’allarme lanciato da decenni dagli scienziati di tutto il mondo è reale e che forse è già troppo tardi per porre rimedio alle conseguenze inevitabili del riscaldamento globale: secondo l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) pubblicato ad agosto, forti e costanti riduzioni di emissioni di CO2 e di altri gas serra limiterebbero i cambiamenti climatici, ma potrebbero essere necessari dai 20 ai 30 anni per vedere le temperature globali stabilizzarsi e, a meno che non vengano presi provvedimenti immediati e su larga scala, limitare il riscaldamento a circa 2°C o addirittura 1,5°C sarà un obiettivo fuori da ogni portata.
Ma la temperatura non è che uno degli elementi in gioco: i cambiamenti climatici portano con sé variazioni del ciclo dell’acqua, dell’andamento delle precipitazioni, del livello del mare, degli ecosistemi marini e sono responsabili dello scioglimento del permafrost, della perdita della copertura nevosa stagionale, dello scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare, e della perdita del ghiaccio marino artico estivo.
E, ovviamente, a tutto ciò sono connesse sfide significative per la sicurezza alimentare mondiale. La European food safety authority (Efsa) – che ha recentemente pubblicato il rapporto CLEFSA CLimate change and Emerging risks for Food SAfety – lancia l’allarme: insieme al clima cambiano le pratiche e le produzioni agricole, nonché la qualità nutritiva delle colture alimentari; i fattori climatici possono influire sulla comparsa di alcune malattie veicolate da alimenti; mutate condizioni ambientali possono favorire l’insediamento di specie esotiche invasive, dannose per la salute di piante e animali; il riscaldamento delle acque e l’aumentato apporto di nutrienti portano alla proliferazione di alghe e batteri tossici.
L’elenco è inevitabilmente incompleto e senza dubbio le sorprese che il futuro ci riserverà saranno tutt’altro che piacevoli. Covid insegna: lo studio “Shifts in global bat diversity suggest a possible role of climate change in the emergence of SARS-CoV-1 and SARS-CoV-2” pubblicato sulla rivista Science of the total environment correla la pandemia ai cambiamenti climatici: «I pipistrelli – sostengono gli autori – sono la probabile origine zoonotica di diversi coronavirus (CoV), tra cui SARS-CoV-1 e SARS- CoV-2, che infettano gli esseri umani. Il numero di CoV presenti in un’area è fortemente correlato con la ricchezza di specie locali di pipistrelli che, a sua volta, è influenzata dalle condizioni climatiche che guidano la distribuzione geografica delle specie».
È evidente che in questo scenario i costi economici dei cambiamenti climatici sono enormi e le conseguenze sociali difficilmente immaginabili: prima della pandemia, seppure con una variabilità notevolissima dovuta alle molteplici variabili in gioco e alla situazione disomogenea nelle varie nazioni, il costo di una tonnellata di CO2 emessa era stimato in 417 dollari, in un intervallo variabile tra 177 e 805 dollari [Ricke, K., Drouet, L. et al. (2018) Country- level social cost of carbon, Nature Clim Change 8, 895–900]; ora, sinceramente, non lo sappiamo più.
Il tributo economico e in vite umane viene riscosso non solamente dalle pandemie, ma anche dal fenomeno dell’antimicrobicoresistenza (che si stima mieterà 10 milioni di vittime nel 2050), dall’inquinamento, dai disastri naturali dovuti a eventi climatici estremi conseguenti allo sfruttamento sconsiderato delle risorse del pianeta, e non dimentichiamoci che ogni anno l’Overshoot Day arriva sempre più presto (nel 2021 era il 29 luglio quando le risorse annuali della Terra si sono esaurite).
La pandemia ci ricorda l’intimo e delicato rapporto tra le persone e il pianeta. Qualsiasi sforzo per rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire, a meno che non si affronti l’interfaccia critica tra persone e agenti patogeni e la minacci esistenziale del cambiamento climatico che sta rendendo la nostra Terra meno abitabile.
Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in occasione della World Healt Assembly 2020
Esiste una sola salute per un solo futuro.