La nanomedicina sotto le luci della ribalta: ictus e terapia del dolore

Le innovative applicazioni della nanomedicina sono le protagoniste della prestigiosa sessione del Simposio AFI 2021 organizzata in collaborazione con CRS. Si inizia con Patrick Couvreur e le applicazioni delle nanoparticelle per il trattamento dei disturbi neurologici

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La nanomedicina è una scienza tanto recente quanto rivoluzionaria. Le sue applicazioni sono numerose e le caratteristiche che la contraddistinguono la rendono uno strumento interessante per gli obiettivi della medicina di precisione.

AFI, in collaborazione con CRS (Controlled Release Society), non si è fatta sfuggire un argomento tanto interessante, dedicandogli una sessione del Simposio 2021. Gli organizzatori Giorgio Bruno, presidente di AFI, Bice Conti, professoressa presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Pavia, Paolo Decuzzi, presidente di CRS e membro dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Massimo Pedrani, membro di AFI e direttore di Mogon Pharmaceuticals, hanno convocato un gruppo di relatori di fama internazionale, chiamati ad illustrare alcune tra le più promettenti linee di ricerca nelle nanotecnologie applicate al rilascio dei farmaci.

Una scienza interdisciplinare al servizio della salute

La nanomedicina nasce da un approccio che integra le conoscenze provenienti da diversi ambiti scientifici. Lavorare a scala nanometrica permette infatti a discipline diverse come biologia, chimica, medicina e fisica di collaborare a un’ampia varietà di possibili progetti di ricerca.

Le applicazioni di questa scienza quindi possono spaziare dallo sviluppo di farmaci e tecnologie diagnostiche alla produzione di biomateriali per dispositivi medici e protesi intelligenti, fino alla medicina rigenerativa. Ecco perché l’attenzione nei confronti delle nanotecnologie applicate alla salute è molto alta. Soprattutto in tempo di pandemia. Diverse linee di ricerca puntano infatti a sviluppare vaccini contro COVID-19 sempre più efficaci.

Ma sono molte le patologie e le condizioni debilitanti per le quali la nanomedicina può rappresentare un valido aiuto. Pensiamo a malattie degenerative come il morbo di Parkinson e quello di Alzheimer, a malattie croniche come il diabete o complesse come il cancro, all’insufficienza d’organo o alle lesioni gravi. I costi sociali ed economici di queste condizioni sono ingenti, per questo il contributo delle nanotecnologie è importante non solo per i pazienti, ma anche per i sistemi sanitari.

Nanoparticelle e ictus

A presentare il primo relatore è Paola Minghetti, vice presidente di AFI e professoressa presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università Statale di Milano. Si tratta di Patrick Couvreur, personalità di spicco dell’ambiente scientifico francese. Professore emerito e presidente onorario dell’Accademia Nazionale Francese di Farmacia, oltre che membro di diverse altre accademie scientifiche, Couvreur comincia col descrivere un innovativo trattamento per l’ictus ischemico basato su nanoparticelle ad azione periferica.

Quando si sviluppa un trattamento per disturbi correlati al cervello ci si trova a fare i conti con la barriera ematoencefalica. Filtro di protezione per il nostro cervello, questa struttura impedisce però il passaggio e quindi l’azione di molti farmaci. Una via per risolvere questo problema può essere quella di cercare soluzioni per superare la barriera, ma un’altra interessante strada punta invece a evitare di oltrepassarla, studiando farmaci ad azione periferica.

Come hanno fatto i ricercatori dello studio illustrato da Couvreur. Scegliendo l’adenosina come agente terapeutico contro i danni provocati dall’ischemia, il team ha deciso di legarla a una molecola di squalene, per evitare la sua rapida denaturazione nel sangue. La nanoparticella che e così venuta a formarsi, infatti, è in grado di rimanere a lungo in circolo nel torrente sanguigno, grazie alla capacità di integrarsi alle lipoproteine LDL dovuta all’affinità dello squalene per il colosterolo, di cui è precursore. La nanoparticella diventa così un reservoir di adenosina, che viene rilasciata in modo prolungato. Legandosi quindi ai recettori presenti sulle cellule endoteliali dei vasi sanguigni, la nanoparticella permette il loro rilassamento e la diminuzione di capillari ostruiti. La conseguenza è una migliore circolazione sanguigna e un’effetto protettivo a livello neuronale in modelli sperimentali, pur evitando il passaggio attraverso la barriera ematoencefalica.

La nanomedicina nella terapia del dolore

La seconda applicazione delle nanoparticelle illustrata da Couvreur riguarda la gestione del dolore, vera sfida per la medicina. L’abuso di morfina e altri oppiacei e la forte dipendenza da essi provocata causano infatti notevoli problemi sociali ed economici. La sostituzione di questi composti con le encefaline sarebbe un’ottima alternativa: pur avendo un effetto analgesico meno potente rispetto a quello degli oppiacei, hanno infatti il grosso vantaggio di non causare assuefazione. Tuttavia queste molecole vengono metabolizzate in modo estremamente veloce.

Ancora una volta l’utilizzo di squalene per formare nanoparticelle ha permesso ai ricercatori di superare il problema. In questo modo, infatti, la durata dell’effetto analgesico in modelli sperimentali non è solo maggiore rispetto a quella dell’encefalina libera, ma anche rispetto a quella della morfina stessa. Inoltre non si riscontra l’insensibilità allo stimolo doloroso che tipicamente segue la somministrazione di morfina. Infine, non oltrepassando la barriera ematoencefalica, le nanoparticelle hanno azione locale, eliminando completamente il rischio di dipendenza.

Le applicazioni delle nanoparticelle in campo medico sono davvero numerose e la ricerca è a uno stadio avanzato. Secondo Couvreur è arrivato il momento di affacciarsi all’industria farmaceutica e affrontare le sfide dello scale up. I costi sono tanti, ma le premesse sono meritevoli di attenzione.

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