Applicazioni nanotecnologiche su pelle e occhio

Al Simposio AFI 2021 si continua a parlare di nanotecnologie ad alto contenuto innovativo, come quelle che puntano a cambiare la prospettiva della somministrazione transdermica e del trattamento delle patologie oculari

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Dai microaghi che si applicano come pomate ai cerotti per la somministrazione di vaccini: innovative applicazioni nanotecnologiche puntano ad allargare gli orizzonti della somministrazione cutanea dei farmaci. Ma possono anche aiutare a superare i limiti che si incontrano quando il target di un trattamento è un organo particolare come l’occhio. Guide nel viaggio tra queste innovazioni durante il Simposio AFI 2021 sono Mark Prausnitz, professore alla School of Chemical and Biomolecular Engeneering presso il Georgia Institute of Technology di Atlanta e Giovanni Manfredi, CEO della startup italiana Novavido. A presentarli, Paolo Caliceti e Bice Conti.

Superare la barriera cutanea, ma a livello microscopico

Utilizzare i microaghi permette di superare lo strato corneo che riveste l’epidermide in modo molto preciso. Le tipologie di microago esistenti sono numerose, come anche le loro possibili applicazioni. Ad esempio, un settore che può sfruttare con successo le opportunità offerte da questa tecnologia è quello dei vaccini.

Realizzare dei cerotti accoppiati a microaghi capaci di dissolversi dopo l’iniezione, come illustrato da Prausnitz, è infatti un metodo innovativo di somministrazione che pone diversi vantaggi. L’utilizzo di questi dispositivi è molto facile e indolore, aumentando così la compliance al trattamento. Non solo. I cerotti con microaghi aprono anche interessanti prospettive di controllo della cinetica di rilascio, possibile modificando la composizione dei microaghi stessi. Il cerotto può infatti rilasciare il farmaco in modo immediato oppure lentamente, rimanendo attaccato alla pelle per anche un mese. L’efficacia di una vaccinazione somministrata in questo modo, inoltre, sembrerebbe non avere nulla da invidiare alla classica iniezione. Secondo lo studio presentato da Prausnitz, infatti, l’induzione di risposta immunitaria della somministrazione con microaghi sembrerebbe simile se non maggiore rispetto a quella dell’iniezione intramuscolare.

Per trattare vaste aree del corpo, però, i cerotti offrono un aiuto limitato. Molto più adatti, invece, sono i microaghi che si presentano come singole particelle microscopiche dai bordi taglienti, che possono essere incorporate facilmente in creme e pomate. Il principio è lo stesso di molti prodotti cosmetici già in commercio. Una volta applicato il preparato, infatti, la frizione permette una microabrasione da parte delle particelle che aumenta la permeabilità cutanea al principio attivo della formulazione. L’incremento può essere considerevole se confrontato all’applicazione di gel e il fastidio arrecato al paziente è minimo. Ecco perché questo genere di tecnologia viene considerata molto promettente.

Applicazioni nanotecnologiche per vincere le sfide poste dall’occhio

I microaghi possono rivelarsi utili anche per la somministrazione oculare, che pone diverse sfide viste le particolarità di questo organo. La zona più indicata per l’azione dei farmaci si trova infatti sul fondo dell’occhio e per raggiungerla generalmente si riempie tutto l’organo con la preparazione attraverso iniezioni oculari. Questo può causare problemi a parti dell’occhio che non sono destinatarie del trattamento ma che entrano comunque in contatto con il farmaco. Utilizzare devices dotati di microaghi lunghi meno di un millimetro permette invece di agire con precisione ed efficacia. Come dimostrato dall’esempio riportato da Prausnitz, in cui tutto lo spazio situato tra coroide e sclera viene riempito con una sola iniezione senza intaccare altre parti dell’occhio.

Manfredi invece affronta un altro tipo di problematica oculare: le conseguenze causate da malattie degenerative come la retinite pigmentosa. La perdita progressiva della vista che si riscontra in questi casi può essere trattata con applicazioni nanotecnologiche che sembrano arrivare addirittura a permettere il recupero della funzionalità visiva perduta. La tecnologia presentata da Manfredi si basa su un polimero proveniente dal mondo del fotovoltaico chiamato P3HT (poli(3-hexylthiophene)). Questo materiale è in grado di assorbire la luce visibile in modo simile a coni e bastoncelli e trasformarla in impulsi elettrici. Per questo una sospensione colloidale contenente nanoparticelle di P3HT è stata testata in modelli animali con degenerazione dei fotorecettori, dimostrando una reale efficacia nel recupero della funzionalità visiva.

Questa tecnica va quindi ad affiancarsi ad altre metodologie di recupero della funzionalità della retina, come terapia genica, protesi e tecniche optogenetiche. Con il vantaggio però di non richiedere dispositivi esterni e di essere potenzialmente applicabile a tutte le persone colpite. Un altro esempio di come la nanomedicina sia una disciplina innovativa realmente al servizio del paziente. Molto più quindi di una “scienza per la scienza”.

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